Due domande da cento milioni di dollari

Due domande da cento milioni di dollari

L’Associazione Culturale Piana mi pone un paio di domande, che mi suonano “da cento milioni di dollari” ma che mi sembra comunque corretto porsi, anche di frequente, cercando di darsi delle risposte, per quanto modeste e incomplete.

Le domande:

“L’Etica come rivendicazione globale da parte dei cittadini verso il mondo della politica, delle istituzioni e delle grandi industrie. Ma l’Etica è anche parte della nostra vita. Quale contributo etico alla vita del Pianeta – di carattere ambientale, ma anche sociale, politico, estetico… – ritiene di dare Lei nel suo quotidiano? E quale suggerimento ritiene di voler dare, specie alle nuove generazioni, affinché inseriscano preoccupazioni di carattere etico nel loro vivere quotidiano?”

I tentativi di risposta:

Come marito, padre di quattro figli e nonno di sette nipoti, penso che il miglior contributo che posso dare al pianeta stia nella cultura che la famiglia riesce a trasmettere ai suoi giovani membri, nei valori interiorizzati che li accompagneranno e che influenzeranno le loro scelte per tutta la vita. Il compito non è banale, non ho formule per affrontarlo, se non quella di voler bene, nel senso più ampio del termine.

Nel mondo del lavoro, ho interpretato per 44 anni il ruolo di imprenditore, cercando di rendere positivo il grande impatto che la mia impresa, come tutte le imprese del mondo, aveva sulla società nello svolgimento della sua attività caratteristica. Dal mio punto di vista il primario impatto sociale di un’azienda si può riassumere in:

  • creare e organizzare il Lavoro, offrendo alle persone opportunità di guadagno ma anche di realizzazione e in definitiva di costruzione della propria identità
  • offrire al pubblico prodotti o servizi che soddisfino esigenze positive, contribuendo allo sviluppo della società
  • creare e reinvestire ricchezza, innescando un circolo virtuoso che migliora il Lavoro e così facendo migliora il Prodotto, sostenendo così la creazione di ricchezza nel lungo termine Nella mia esperienza il miglior modo di rendere positivo questo impatto, e di sostenere al contempo il successo di lungo termine dell’impresa, consiste nel far leva su quella che considero una sostanziale coincidenza di interessi tra l’impresa e tutti i suoi stakeholder. Nel 2018 ho lasciato l’azienda e ha dato vita, insieme a mia moglie, alla Fondazione Buon Lavoro, di cui sono Presidente. La Fondazione è lo strumento attraverso il quale cerco di continuare a realizzarmi, nel portare il mio infinitesimo contributo allo sviluppo della società.
    La Fondazione, che non ha finalità erogativa ma operativa, ha lo scopo di “contribuire a sviluppare, sia sul piano teorico che su quello pratico, il “Buon Lavoro”: il lavoro come fonte di realizzazione delle persone, nell’ambito di una economia responsabile, inclusiva e sostenibile”.

Il primo progetto, “Un Altro Buon Lavoro”, ha supportato in modo innovativo la gestione degli esuberi durante uno stato di crisi aziendale, aiutando le persone a trovare un nuovo impiego mentre erano in costanza di rapporto di lavoro; lo stato di crisi si è chiuso evitando del tutto il ricorso a licenziamenti, dato che le uscite sono state unicamente su base volontaria.

Un altro importante filone dell’azione della Fondazione è la messa a fuoco e la promozione del modello della “Buona Impresa”, che ho messo a punto nella mia lunga esperienza imprenditoriale e sommariamente descritto sopra.

Alle nuove generazioni che si affacciano al mondo del lavoro raccomanderei di non dimenticare mai che il lavoro esiste in quanto serve (a) qualcun altro. Capire i propri talenti e metterli al servizio degli altri potrà essere per loro un eccellente modo di realizzare sé stessi mentre contribuiscono al positivo sviluppo della società e del pianeta.

michele alessi